Art. 6.
(Azioni di tutela giudiziaria).

      1. Il lavoratore che ha subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e che non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma che intende adire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, anche attraverso le rappresentanze sindacali aziendali.
      2. È competente per le cause in materia di mobbing il giudice del lavoro ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.
      3. Nei casi di maggiore gravità il soggetto leso può adire il giudice in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile affinché questi, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, ordini al datore di lavoro la cessazione degli atti, atteggiamenti o comportamenti pregiudizievoli, adottando ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti e stabilendo le modalità di esecuzione della decisione.
      4. L'efficacia esecutiva del decreto di cui al comma 3 non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice competente definisce il giudizio instaurato ai sensi del comma 2.
      5. Qualora venga presentato ricorso in via d'urgenza ai sensi del presente articolo, non trovano applicazione l'articolo 410 del codice di procedura civile e l'articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
      6. Accanto all'azione giudiziaria del singolo lavoratore, che tende a ottenere la pronuncia di inefficacia dei provvedimenti adottati e il risarcimento dei danni subiti, è prevista la facoltà per i portatori di

 

Pag. 11

interessi diffusi, costituiti in associazioni, di denunciare situazioni di bossing all'autorità giudiziaria competente attraverso un'azione inibitoria collettiva, di chiedere controlli all'interno dei luoghi di lavoro, di presentare segnalazioni agli enti competenti, nonché di ricorrere al giudice per l'inibizione di comportamenti di bossing o di mobbing come politica aziendale.
      7. Le associazioni di cui al comma 6, per poter agire in giudizio e richiedere controlli all'interno dei luoghi di lavoro, devono avere i seguenti requisiti:

          a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno cinque anni e possesso di uno statuto che sancisce un ordinamento a base democratica e che prevede come scopo esclusivo dell'associazione la tutela contro il mobbing, senza fine di lucro;

          b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

          c) numero di iscritti complessivo non inferiore a cinquecento, distribuiti in ambito nazionale, da certificare con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità previste all'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

          d) svolgimento di un'attività continuativa nei cinque anni precedenti;

          e) previsione nel proprio organico di almeno un esperto di mobbing e garanzia di consulenza legale, psicologica, medica e medico-legale da parte di professionisti accreditati come esperti del settore;

          f) i propri rappresentanti legali non devono avere subìto condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, nonché essere titolari di alcun rapporto di lavoro subordinato con soggetti pubblici o privati, né devono svolgere ruoli sindacali o politici.

 

Pag. 12

      8. È istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale un elenco pubblico e nazionale delle associazioni di cui ai commi 6 e 7.